ECCO PERCHE' L'OZONOTERAPIA E' DOPING A TUTTI GLI EFFETTI
Dall'operazione della Guardia di Finanza "Vai col doping" è emersa nell'estate del 2009 una nuovissima e sconosciuta pratica dopante a base di un trattamento con l'ozono, via autoemotrasfusione maggiore, messa in opera da uno dei più chiacchierati medici sportivi del nostro Paese, a sua volta già coinvolto in altre scabrose vicende doping e per esse condannato in via definitiva. Una pratica tanto più sorprendente perché effettuata addirittura su una minorenne e, ovviamente, pericolosa per la salute. Ecco qui di seguito la perizia messa a punto dal professor Dario D'Ottavio, biochimico clinico già membro della CVD, la commissione di vigilanza sulla legge antidoping (376/2000), nonché massimo esperto di doping e dintorni e dal dottor Benedetto Ronci, eminente ematologo dell'ospedale romano S. Giovanni Addolorata. |
In merito al quesito posto dal PM, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Padova se, cioè, la pratica medica di ossigeno-ozonoterapia (ozono medicale) possa essere considerata o meno pratica dopante, è necessario procedere analiticamente e propedeuticamente in 3 fasi.
1- Nella prima fase verranno formulate delle premesse di fisiopatologia ematologia indispensabili per spiegare successivamente “SE” e “COME” l’ossigeno-ozono terapia, in particolare quella sistemica sotto forma della cosiddetta “grande autoemotrasfusione”, possa influire artificialmente sulla prestazione atletica attraverso l’aumento della disponibilità di ossigeno.
2- Nella seconda fase verrà esaminata la chimica e la biochimica dell’ozono con particolare riguardo all’ozono medicale utilizzato per scopi terapeutici in una vasta gamma di patologie.
3- Nella terza fase si entrerà più specificatamente nell’oggetto dell’indagine e cioè sul trattamento con ozono terapia sistemica (grande autoemotrasfusione) di un’ atleta di sesso femminile come si evince dalla disamina delle intercettazioni audio-video presso l’ambulatorio del medico dello sport indagato.
PREMESSE DI FISIOPATOLOGIA EMATOLOGICA
L’ossigeno (O2) è trasportato nel sangue attraverso due meccanismi: per il 97% è trasportato da una ferro-proteina complessa chiamata EMOGLOBINA (Hb) e solo per il 3% come gas disciolto.
Questo significa che alla pressione di ossigeno presente negli alveoli polmonari (100 mmHg) solo 0,3 ml di ossigeno ogni100 ml di sangue passano in soluzione e trasportati direttamente come gas disciolto. Troppo poco! tale quantità sarebbe incompatibile con la vita. Grazie alla emoglobina è invece possibile aumentare enormemente (di circa 70 volte) il trasporto dell’ossigeno in quantità sufficiente a coprire il fabbisogno e la sopravvivenza di tutte le cellule. Ma l’Hb non è libera nel sangue circolante perché, se così fosse, verrebbe rapidamente (in pochi minuti) distrutta (catabolizzata) ed escreta per via renale con le urine e, quindi, non potrebbe funzionare in maniera efficiente come trasportatore di O2. Inoltre, al di fuori del globulo rosso, l’Hb darebbe origine ad un legame molto forte con l’O2 rilasciandone molto poco ed in maniere insufficiente ai tessuti: l’Hb avrebbe cioè una “affinità” per l’ossigeno troppo alta . Ecco perché l’Hb è contenuta all’interno dei globuli rossi la cui funzione principale è proprio quella di trasportarla e di proteggerla consentendole di funzionare come trasportatore di O2 in modo sufficientemente prolungato, e cioè per l’intera vita del globulo rosso che è di 4 mesi (120 giorni) ed in modo efficiente legando o rilasciando l’ossigeno in base alla necessità.
I globuli rossi formano la parte più voluminosa della componente corpuscolata del sangue che percentualmente viene espressa come EMATOCRITO (Ht o Hct) . Un ematocrito del 45% significa che il 45% del volume del sangue è costituito dalla parte corpuscolata, (cioè praticamente da globuli rossi) ed il restante 55% dalla parte liquida ( detta plasma). E’ naturale, quindi, che il contenuto cellulare del sangue influenza la sua viscosità. La presenza nel sangue, cioè, di “troppi” globuli rossi può infatti compromettere anche seriamente il normale flusso ematico all’interno dei vasi sanguigni. In altri termini la viscosità del sangue correla specialmente con l’Ht. Pertanto per consentire un adeguato trasporto di O2 in un numero di globuli rossi compatibile con una viscosità ematica tollerabile, ciascuna cellula deve contenere una alta concentrazione di Hb (32-35 gr x 100 ml di citoplasma) che è già al limite della solubilità dell’Hb in soluzioni fisiologiche. Ne consegue che anche minime perturbazioni sia intrinseche (ossidazione) che estrinseche (modifiche delle condizioni biochimiche del sangue) di questa proteina, possono avere potenziali effetti devastanti sulla solubilità dell’Hb stessa e, quindi, anche sulla incolumità del globulo rosso. E’ ovvio da quanto detto che possiamo aumentare il trasporto di O2 nel sangue aumentando i globuli rossi circolanti sia, per esempio, attraverso trasfusioni di sangue sia attraverso stimoli ormonali (eritropoietine) ma dato che viene ad aumentare proporzionalmente anche la viscosità, si può incorrere in conseguenze assai dannose per la circolazione. Ma è possibile aumentare il trasporto di O2 nel sangue senza aumentare il numero dei globuli rossi? La risposta è SI’ ed in modi diversi. E’ per esempio possibile aumentare quella quantità di O2 “disciolto” come gas in soluzione che abbiamo detto essere normalmente non più del 3% dell’O2 trasportato, attraverso la somministrazione delle emulsioni di perfluorocarbonati, piccole sostanze inerti capaci di adsorbire l’ossigeno dal polmone e di liberarlo nei tessuti, oppure ricorrere ai cosiddetti modificatori allosterici dell’emoglobina. Per meglio chiarire quest’ultimo punto che è fondamentale per rispondere al quesito se l’ossigeno-ozono terapia possa essere considerata una pratica vietata per doping nell’ambito sportivo, è necessario sapere che l’Hb all’interno dei globuli rossi, come precedentemente accennato, si comporta nel sangue come una proteina che lega e rilascia l’ossigeno in maniere “intelligente” tanto che è stata definita un “polmone in miniatura”. Questa adattabilità dell’emoglobina nel legare o rilasciare l’ossigeno dipende soprattutto da un fattore strutturale. L’Hb è infatti una proteina complessa formata da ben 4 subunità proteiche,chiamate globine rispettivamente 2 globine alfa e 2 globine beta: HBA= α2 β2 (si dice proteina tetramerica). Ciascuna subunità lega un gruppo non proteico chiamato EME. A ciascun eme è legato un singolo atomo di ferro che a sua volta lega l’ossigeno. Quindi l’Hb può legare fino a 4 molecole di O2, ciascuno per ogni gruppo eme. La struttura dell’Hb però non è fissa, statica ma la conformazione di questa proteina cambia in funzione del legame proprio con l’ossigeno. In altri termini quando una molecola di O2 si lega ad una subunità , questo legame innesca una modifica conformazionale (un vero e proprio movimento delle globine tra di loro) che si riflette sulle altre subunità rendendole più affini all’ossigeno ed accelerandone il legame stesso. Quando il legame di un ligando ad un sito modifica la proprietà conformazionale di un sito adiacente alla stessa molecola proteica (come accade per il legame dell’O2 all’Hb) la proteina viene detta allosterica. Questa interazione tra le quattro subunità dell’Hb si chiama inoltre interazione eme-eme o “cooperatività”. Tale proprietà è ben espressa dalla cosiddetta curva di dissociazione dell’Hb che descrive graficamente la percentuale di saturazione dell’Hb con l’ossigeno a differenti pressioni di O2 “ambientali”. Tale curva è caratteristicamente di tipo “sigmoidale” e questo praticamente significa che l’Hb totalmente deossigenata è inizialmente lenta a diventare ossigenata ma a mano a mano che l’ossigenazione procede, la reazione degli altre subunità con l’ossigeno accelera. Viceversa la perdita di O2 da una subunità dell’Hb riduce l’affinità per l’O2 delle rimanenti subunità accelerandone il rilascio. A riprova di quanto detto se prendiamo in considerazione la Mioglobina, un’altra proteina contenente EME capace di legare l’O2 e presente in tutti i mammiferi nei tessuti muscolari, che è però formata da una singola subunità e, quindi, da una singola molecola di eme, la curva di dissociazione dell’O2 n questo caso è un iperbole il che equivale a dire in termini fisiologici che la mioglobina, mancando la “cooperatività”, si satura completamente di O2 già a bassissime pressioni di questo gas tanto che alla pressione di O2 tessutale ( che è di circa 40 mmHg) è completamente satura (completamente ossigenata). Questo spiega il ruolo della mioglobina come “conservazione” dell’ossigeno ma sarebbe evidentemente del tutto inutile come trasportatore di O2.
L’affinità dell’Hb
per l’ossigeno si esprime in termini di P50 che è la pressione parziale
dell’ossigeno alla quale la metà (50%) delle molecole di Hb sono ossigenate.
Quindi una Hb con una P50 di 10 mmHg indica una Hb con elevata affinità perché
già alla pressione parziale di ossigeno di soli 10 mmHg il 50% delle molecole di
Hb sono sature di O2. Viceversa una Hb con una P50 di 60 mmHg indica
una Hb con bassa affinità per l’O2 perché per saturare il 50% delle
molecole di emoglobina, occorre una pressione parziale di O2
relativamente alta. Il che equivale a dire che questa emoglobina tende a
rilasciare più facilmente l’ossigeno ed alla pressione parziale di O2
dei tessuti (30-40 mmHg) praticamente tutto l’ossigeno viene liberato verso i
tessuti aumentandone la disponibilità. Ma l’affinità dell’Hb per l’O2
non dipende solamente dalla intrinseca proprietà della sua struttura tetramerica.
Infatti la P50 può essere influenzata da un certo numero dei cosiddetti
“modificatori eterotropici” che includono la temperatura, il ph (il grado cioè
di acidità dell’ambiente) e piccole molecole organiche contenenti fosfato. Il
maggiore modulatore intracellulare dell’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno
è il 2-3 difosfoglicerato (2-3 DPG), un prodotto intermedio del
metabolismo del globulo rosso (glicolisi anaerobica) che è normalmente presente
nella cellula a concentrazioni equimolecolari all’Hb. La produzione (sintesi)
del 2-3 DPG è regolata ed i livelli possono cambiare in funzione delle
condizioni biochimiche esistenti. Questa molecola è capace di legarsi
specificatamente all’interno della cavità centrale del tetrametro emoglobinico
aumentando il rilascio dell’O2 stabilizzando l’Hb nella sua
conformazione deossigenata e quindi diminuendo significativamente la affinità
dell’Hb per L’O2. Il legame del DPG ad un sito di regolazione (un
unico sito per ogni tetramero, che si forma fra le due catene β) riduce
sensibilmente l'affinità dell'emoglobina per l'ossigeno.
Ciò ha un effetto modesto a livello alveolare, ma acquista importanza a livello
dei tessuti periferici, dove il DPG favorisce un ulteriore rilascio di ossigeno.
La regolazione da parte del 2,3 difosfoglicerato ha un ruolo fisiologico
importante nell'emoglobina fetale. Questa infatti deve avere un'affinità per l'O2
maggiore di quella materna, affinché l'ossigeno le possa essere ceduto
facilmente. Per questo l'emoglobina fetale è costituita da due catene γ in
sostituzione delle catene β (HbF = α2γ2); di conseguenza,
sull'emoglobina fetale manca il sito di regolazione per il DPG e la sua
affinità per l'ossigeno si mantiene elevata.
Un ulteriore tipo di
regolazione è quella operata dagli ioni H3O+
(effetto Bohr).
La protonazione di alcuni residui amminoacidici dell'emoglobina, ne provoca
infatti una riduzione dell'affinità per l'ossigeno. In questo modo,
l'affinità per l'ossigeno viene esaltata a livello polmonare, dove il pH è
leggermente alcalino (pH 7.6) e viene diminuita a livello dei capillari, dove il
pH è debolmente acido (7.2) rispetto al valore normale del sangue (pH 7.4),
specialmente in conseguenza di una attività muscolare intensa che causa il
rilascio di acido lattico.
Il 2-3 DPG costituisce quindi un meccanismo biochimico che aumenta la resistenza dei tessuti nelle condizioni di relativa ipossiemia comunque indotta (ridotto O2 nell’aria, come nelle alte altitudini; nelle condizioni di anemia nelle quali l’aumento del 2-3 DPG nel globulo rosso con, quindi maggiore rilascio di O2, rappresenta un importante meccanismo di compenso insieme all’aumento della frequenza cardiaca e della frequenza respiratoria).
Per quanto riguarda il comportamento dei livelli di 2-3 DPG e attività muscolare o l’allenamento i dati della letteratura non sono univoci e talora contraddittori. Secondo alcuni autori non vi sarebbero modificazioni significative del 2-3 DPG dopo un esercizio massimale per un breve periodo in soggetti non allenati mentre secondo altri il livello di 2-3 DPG aumenta del 15% in atleti (maratoneti) che svolgano un esercizio massimale sulla media distanza.
CHIMICA DELL’OZONO
Scoperto da Shonbein nel 1832, l’Ozono è una molecola ciclica costituita da tre atomi di Ossigeno ( O3 PM 48) ma con proprietà chimico-fisiche diverse dall’Ossigeno classico (O2) sebbene queste due sostanze siano formate dallo stesso elemento. Questa caratteristica prende il nome di “allotropia” che esplicitamente indica molecole composte dallo stesso elemento ma con diverso numero di atomi. Anche in piccola concentrazione se ne può percepire il caratteristico odore in prossimità di apparecchiature ad alto voltaggio, infatti, la sua produzione nell’industria ed in natura deriva proprio dall’interazione di molecole di ossigeno con energia radiante o campi elettrici ad elevato potenziale.
Le reazioni caratteristiche di formazione possono sintetizzarsi nello scema seguente:
Reazioni di formazione
O2 + h ν radiazione → O∙ + O∙
O∙ + O2 → O3
Ovvero
3O2 + h ν → 2O3 ΔH = + 68.0 kcal/mole
Come si può notare 3 moli di Ossigeno sono trasformate in 2 moli di Ozono, questa reazione richiede una quantità di energia termica pari a 68.0 kcal/mole che viene immagazzinata nell’Ozono prodotto, questa caratteristica rende la molecola particolarmente reattiva.
Infatti, l’Ozono reagisce più vigorosamente dell’Ossigeno in quanto possiede un maggior contenuto energetico, da ciò ne deriva il suo elevato potere ossidante (+ 2.07 V) inferiore solo al Fluoro (F2) elementare ed allo ione Persolfato (S2O8=)nella scala dei potenziali Redox..
Quando l’Ozono si comporta da agente Ossidante in genere solo un terzo degli atomi di ossigeno presenti nella molecola può essere ridotto, gli altri due terzi compaiono tra i prodotti di reazione sotto forma di molecole di Ossigeno. Il comportamento dell’Ozono come Ossidante viene rappresentato dalla reazione che segue:
O3 → O∙ + O2 - 68.0 kcal
Come si può vedere l’energia che si sviluppa dalla reazione di decomposizione è pari all’energia di formazione.
L’Ozono ha una densità 1.6 volte maggiore di quella dell’aria ed è anche più solubile nell’acqua (49 mL in 100mL di acqua a 0°C), non è un radicale libero ed è altamente instabile. La sua emivita non supera i 40 minuti a temperatura ambiente, caratteristica questa delle molecole estremamente reattive.
Dal punto di vista della tossicità, se inalato attacca le mucose ed è quindi estremamente pericoloso, tranne se presente in concentrazioni molto basse. Dato il suo elevato potere ossidante viene usato per decolorare gli amidi, gli olii, le cere e come disinfettante per purificare e sterilizzare l’acqua.
E’ importante però rilevare che in campo medico si utilizza una miscela di O2 e O3 in cui quest’ultimo è presente in bassa concentrazione (da 1 a 40 μg/ml di Ossigeno) proprio a causa della anzidetta tossicità dell’ozono.
BIOCHIMICA DELL’OZONO
L’Ozono, come tutti i gas, è solubile nei liquidi secondo la legge di Henry, legge valida per i gas che non reagiscono con il solvente. Considerando come solvente l’acqua, l’Ozono non reagisce con la stessa e da origine ad una soluzione stabile per parecchi giorni e comunemente utilizzata come disinfettante. Viceversa, l’Ozono se disciolto in liquidi biologici, quali plasma, linfa, urina, reagisce immediatamente secondo lo schema
O3 + biomolecole → O2 + O∙
L’Ossigeno allo stato atomico (O∙) è estremamente reattivo e reagisce con acidi grassi polinsaturi, acido urico, tioli comprendenti gruppi –SH, cisteina, antiossidanti come l’acido ascorbico, glutatione ridotto, albumina..etc.
A seconda della quantità di ozono presente si osservano modificazioni delle concentrazioni di carboidrati, enzimi DNA e RNA.
Tutti questi composti ovviamente sono donatori di elettroni (riducenti) e subiscono quindi una ossidazione.
In particolare l’Ozono reagisce con composti contenenti doppi legami (-C=C- presenti negli acidi grassi insaturi) dando origine a composti di addizione detti ozonuri. In questa reazione di “Ozonolisi” il doppio legame si apre addizionando i tre atomi di Ossigeno. Nei liquidi biologici questi composti si trasformano rapidamente in idroperossidi stabili Successivamente pero’ variazioni di pH destabilizzano quest’ultimi provocando la rottura della molecola con formazione di composti di lunghezza inferiore e liberando perossido di Idrogeno (H2O2, acqua ossigenata).
Qualora l’ozono reagisca con i lipidi la reazione finale darà origine, oltra al perossido di Idrogeno ( specie ossigeno reattiva) anche a prodotti di ossidazione lipidica.
E’ importante rilevare che in presenza di ioni Ferro2 ( Fe++) viene catalizzata la decomposizione del perossido di Idrogeno con formazione del radicale idrossilico OH∙ secondo il seguente schema:
Fe++ + H2O2 → Fe+++ + OH∙ + OH-.
Le specie Ossigeno-reattive che si formano hanno un’emivita estremamente bassa e possono dare origine a danni cellulari anche di rilevante importanza
Altresì viene riportato dalla letteratura la formazione di monossido di azoto (NO∙) nelle cellule endoteliali umane. Particolare attenzione va riposta nell’evitare la formazione di un eccesso di prodotti di reazione con l’ozono in quanto è possibile la formazione di composti tossici come il perossinitrito (O=NOO-) e l’anione ipoclorito (ClO-). Di qui, l’importanza fondamentale nell’espletamento della Ozonoterapia di un controllo efficace della concentrazione di Ozono nella miscela da utilizzare e la scrupolosa osservanza del disposto previsto dalla normativa dedicata a tale pratica.
Secondo Valdenassi e coll. Gli effetti dell’Ozono terapia interessano il metabolismo lipidico (accelerazione della glicolisi) il metabolismo protidico (reazione con i gruppi solfidrilici del glutatione) e il metabolismo lipidico in cui gli acidi grassi insaturi idrofobici vengono scissi e trasformati in composti idrosolubili.
L’elemento che però più interessa, in relazione al quesito posto, è quello di individuare se e come l’ozonoterapia possa essere considerata una pratica vietata per doping e quali siano le motivazioni tecnico scientifiche per cui la stessa possa essere considerata tale.
Da questo punto di vista l’aspetto più significativo e quindi da considerare in modo prioritario è quello di stabilire se esista una relazione diretta od indiretta tra l’ozonoterapia l’aumento della disponibilità di Ossigeno, fatto questo di estrema rilevanza dal punto di vista ergogenico.
Non riteniamo plausibile che la decomposizione del perossido di Idrogeno prodotto dalla reazione dell’Ozono dia quantità di Ossigeno tali da poter influenzare in modo significativo la prestazione dell’atleta per cui la nostra attenzione si focalizza su altre modificazioni biochimiche che indirettamente favoriscono l’apporto di ossigeno a livello muscolare.
In questo contesto si consideri che il perossido di Idrogeno, formatosi a seguito della reazione dell’ozono con molecole biochimiche, diffonde con facilità dal plasma alle cellule (eritrociti, leucociti, piastrine) nel cui citoplasma, secondo il tipo di cellula, espleta attività di stimolo sulle varie vie metaboliche dando origine a numerosi effetti biochimici.
E’ interessante rilevare che la concentrazione di H2O2 nel plasma è circa 10 volte superiore a quella intracellulare (21) e la sua rapida riduzione ad acqua avviene a causa delle elevate concentrazioni di GSH, CAT e GSH-Px; tuttavia per l’attivazione delle numerose vie biochimioche essa deve essere presente a concentrazioni superiori al valore di soglia.
Si passa ora ad elencare le modalilità di azione del perossido di Idrogeno sulle cellule bersaglio.
La massa eritrocitaria assorbe la maggior parte dell’ H2O2 : il GSH viene rapidamente ossidato a GSSG e le cellule, molto sensibili alla variazione del raporto GSH/GSSH, immediatamente correggono lo sbilanciamento o riducendo il GSSG tramite il GSH-rid o a spese dell’ascorbato o riducendo il NADP che nella fattispecie espleta le funzioni di elettron donatore.
Successivamente il NADP ossidato viene ridotto attraverso la via dei pentoso fosfati di cui la G6PDH ne rappresenta l’enzima chiave.
Alcuni autori evidenziano piccoli ma significativi aumenti dell’ATP, ma persiste il dubbio se questo aumento sia da attribuire all’attivazione del ciclo dei pentoso fosfati, alla attività dell’enzima FFK od ad entrambi.
E’ inoltre descritto che gli eritrociti reinfusi, dopo trattamento con la miscela Ossigeno/Ozono, aumentano il rilascio di Ossigeno nei tessuti ischemici per uno spostamento a destra della curva di dissociazione Ossigeno/Emoglobina sia a causa di una diminuizione del pH cellulare (effetto Bohr) o/a un incremento del 2,3 difosfoglicerato : questo aspetto,come precedentemente osservato, è di rilevante importanza per una corretta risposta al quesito posto . Altrettanto importante è il fatto che si fa rilevare la necessità, per non ottenere risultati minimali, di ozonizzare completamente la massa plasmatici (4 – 5 L.) e protrarre il trattamento per un periodo di 30 60 gg. come quello praticato al soggetto inerente il quesito posto.
Proseguendo nell’esplicitare il meccanismo di azione biochimica, i LOPs (derivati dall’osidazione degli acidi grassi) formatisi inducono un continuo stress sul midollo osseo e questo stimolo induce un adattamento allo stress durante l’eritrogenesi con regolazione degli enzimi antiossidanti. Come conseguenza, ad esempio, un paziente con ischemia cronica, sottoposto ad Ozonoterapia, può avere un miglioramento clinico derivante dalla formazione di gruppi di eritrociti capaci di liberare ossigeno ai tessuti ischemici, non trascurando il fatto che a tale miglioramento contribuisce anche il rilascio di particolari molecole quali NO, CO e fattori di crescita rilasciati dalle piastrine e dalle cellule endoteliali.
Tra gli altri aspetti “farmacologici” dell’ozono terapia viene riportata l’inattivazione di batteri, virus e funghi espletata dal notevole potere ossidante della mocola.
L’ozono influenza inoltre anche il sistema immunitario, se pur in modo moderato, attivando i granulociti neutrofili e stimolando la sintesi di alcune citochine. Come sempre “il messaggero” cruciale è il perossido di Idrogeno che, dopo essere penetrato nel citoplasma delle cellule mononucleate del sangue, tramite l’ossidazione selettiva della cisteina attiva una tirosin-chinasi che fosforila il fattore nucleare di trascrizione Kts , dando origine al rilascio di un eterodimero (p50xp65). Questo complesso muovendosi nel nucleo attiva qualche centinaio di geni responsabili della sintesi di molteplici proteine tra cui quelle appartenenti alla “fase acuta” e numerose interleuchine.
Nella ozonizzazione del sangue, in particolare se trattato con eparina è stata notata l’attivazione delle piastrine con conseguente rilascio di fattori di crescita che possono dare origine a guarigioni di ulcere croniche in pazienti ischemici. Durante la ritrasfusione del sangue ozonizzato nel donatore, le cellule endoteliali vengono attivate dai LOPs, dando origine ad un aumento dell’NO, plasma-s-nitrosotioli e 5-nitrosoemoglobina, Mentre l’NO ha una emivita al di sotto di un secondo le proteine ad esso legate invece possono esercitare un’azione vasodilatatrice sui siti ischemici lontani con effetti terapeutici che potrebbero essere presi in considerazione.
Un ulteriore aspetto benefico dell’ozonoterapaia riportato è l’azione dell’Ozono sul sistema endocrino e nervoso. In particolare sembrerebbe che, dopo la seduta, numerosi pazienti abbiano manifestato segni di euforia e di benessere il che ha indotto alcuni autori ad affermare la possibilità di un intervento dell’ozono sul rilascio di neurotrasmettitori ed ormoni.
OSSIGENO-OZONOTERAPIA
Come già discusso nei precedenti punti, l’ozono (O3) è una molecola assai instabile e dotata di un alto potere ossidante. Questa proprietà chimica giustifica l’altissimo potere disinfettante ed igienizzante dell’ozono tanto che questo gas ha avuto come prima applicazione quella industriale relativa al trattamento, sterilizzazione e potabilizzazione delle acque. In campo medico, però, viene utilizzato il cosiddetto OZONO MEDICALE, definito come una miscela di ossigeno (O2) + ozono (O3) che viene prodotto da apposite apparecchiature medicali attualmente di minimo ingombro e, quindi, facilmente trasportabili. Poiché l’ozono è, come abbiamo più volte affermato, una molecola altamente instabile, la miscela deve essere preparata da un generatore dell’ozono immediatamente prima dell’uso e non può essere né conservata e né trasportata. Questo limite impone che ogni ambulatorio medico adibito all’ozono terapia debba essere dotato di un generatore di ozono medicale, anche perché, dal prelievo della miscela dal generatore, alla somministrazione della stessa al paziente non devono passare che pochissimi secondi. Il principio del generatore di ozono è semplice. In pratica ossigeno puro viene fatto passare attraverso due tubi ad alto voltaggio connessi in serie ad una sorgente di tensione di 4000-15.000 volt. Questa energia serve a provocare la rottura di singole molecole di O2 in atomi di O che poi ricombinandosi con una molecola di O2 danno origine alla molecola di O3 come già discusso nel paragrafo relativo alla chimica dell’ozono. L’ozono così generato viene poi miscelato con O2 per ottenere la miscela voluta. Questa viene quindi smistata verso una valvola a due uscite. Una uscita è accessibile all’operatore per prelevare con una siringa la miscela medicale mentre l’altra è indirizzata verso un distruttore catalitico di O3 (costituito da ossidi di palladio, nichel e manganese) che ha la funzione di distruggere l’ozono in eccesso non utilizzato per la miscela. Questo serve ad impedire che tale gas venga immesso nell’ambiente ed esercitare effetti tossici, essendo fortemente irritante per via inalatoria con conseguenze che possono essere , ad elevate concentrazioni, anche letali in pochi minuti Per questo, nelle miscele di ozono medicale, l’O3 deve essere presente in concentrazioni assai limitate (circa 40 volte inferiori rispetto a quelle utilizzate in campo industriale) e comunque non superiori a 40 microgrammi x ml di O2. E’ molto importante, inoltre, che il flusso di ossigeno che entra nel generatore abbia una purezza vicino al 100%. Infatti l’aria che respiriamo contiene per il 78% azoto. Pertanto nel generatore, in presenza di ossigeno atomico, si formerebbero ossidi di azoto (NO, NO2) altamente tossici e quindi non utilizzabile a scopi medici.
Gli effetti biologici dell’O3 riportati sono molteplici, come già precedentemente accennato (effetti antinfiammatori, analgesici, metabolici con effetti sul metabolismo glucidico , lipidico e proteico, emoreologici con riduzione della viscosità ematica e, forse anche dell’aggregabilità piastrinica, ed anche immunomodulanti). Per tale motivo l’applicazione dell’ozono terapia è piuttosto vasta ed ampiamente utilizzata in Europa centrale soprattutto Germania, Svizzera ed Austria. In Italia l’ossigeno-ozono terapia ha avuto ufficialmente inizio nel 1983 con la costituzione della Società Italiana di ossigeno-Ozono Terapia (SIOT). Successivamente il tribunale amministrativo del Lazio il 26 settembre 1996 ha sentenziato che la pratica dell’ossigeno-ozono terapia può essere liberamente svolta oltre che da Università, Ospedali e Cliniche anche da ambulatori privati a condizione che si operi secondo precisi protocolli terapeutici (Protocolli SIOT) presentati ed autorizzati dal Ministero della Sanità. Le attuali indicazioni dell’ozono terapia riguardano le malattie vascolari, soprattuuto quelle di tipo ischemico (ulcere necrotiche, diabetiche, da decubito, arteriopatie ostruttive, danni funzionali od organici da alterato microcircolo; malattie ortopediche-reumatologiche (ernie discali, lombosciatlgie, artrosi, periartrite scapolo-omerale, traumatologia sportiva, tendinite etc.); malattie neurologiche (cefalee, Alzheimer, Parkinson, depressione etc.); alcune malattie virali (epatiti, herpes zoster); in campo immunologico come terapia immunomodulante nelle immunodeficienze acquisite ed infine in medicina estetica (cellulite, teleangectasie, varici, rughe etc.). Le vie di somministrazione dell’ozono medicale sono fondamentalmente tre:
1- localoregionale e/o topica: periarticolare, cutanea, tubarica, rettale, vaginale etc.
2- Parenterale: intrarticolare, intradiscale, intralesionale, intramuscolare, sottocutanea, intraperitoneale
3- Mediante autoemotrasfusione maggiore. Questa, che più interessa per gli scopi della perizia, si esegue prelevando circa 200 cc di sangue venoso che, convogliato in un contenitore a sacca contenente anticoagulante, viene trattato con miscela di O2/O3 e successivamente reinfuso. Quest’ultimo tipo di trattamento ha tra gli altri effetti quello di aumentare il rilascio di ossigeno ai tessuti da parte dei globuli rossi trattati con la miscela di O2/O3 e reinfusi. Questo fenomeno sarebbe la conseguenza di una diminuzione dell’affinità dell’Hb per l’O2 indotta sia da un aumento del 2, 3 difosfoglicerato, ma i dati scientifici a riguardo sono contraddittori, che da una aumento degli ioni idrogeno (effetto Bohr) all’interno dei globuli rossi per la formazione dei perossidi determinato dalla reazione chimica dell’ozono con i costituenti organici della cellula (lipidi della membrana ) come già precedentemente discusso (Valdenassi e al. 2003).
L’ozono terapia sistemica viene praticata soprattutto per il trattamento di malattie ischemiche. In realtà i reali meccanismi che sono alla base della efficacia del trattamento non sono conosciuti e tale terapia non è ancora pienamente accettata dalla medicina convenzionale . In uno studio prospettico in cui sono stati trattati 23 pazienti con autoemotrasfusione di sangue ozonizzato a giorni alterni per una settimana, globalmente il cambiamento dell’ossigenazione muscolare registrato prime e dopo le sedute di terapia non è risultato essere significativo sebbene è stato rilevato un significativo decremento della percentuale di bassi valori di ossigenazione (pO2 < 5 mmHg). Questo cambiamento è risultato essere correlato inversamente all’età e con gli iniziali valori di ossigenazione muscolare nel senso che i muscoli più originariamente meno irrorati (più ischemici) hanno maggiormente beneficiato della ozonoterapia soprattutto dopo 48 ore dalla seconda autoemotrasfusione (B. Clavo, 2003). Uno studio precedente invece sembra dimostrare inconfutabilmente come l’autoemotrasfusione ozonizzata migliori alcuni parametri emoreologici e, soprattutto, sia capace di determinare un maggior rilascio di ossigeno ai tessuti in 26 pazienti con malattia occlusiva arteriosa periferica già 30 minuti dopo la reinfusione di sangue ozonizzato a causa soprattutto di un incremento significativo della p50 con, quindi, una diminuzione dell’affinità dell’ossigeno per l’emoglobina senza che sia stato documenatto un aumento del 2,3 difosfoglicerato (Giunta R.,2001).
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
Per la risposta al quesito posto è stato preso come riferimento il Decreto Ministeriale 12 Marzo 2009.
Particolare rilevanza, per una esauriente risposta, riveste quanto riportato nel sopraccitato DM di cui all’ Allegato 3 punto M1 “Aumento del Trasporto di Ossigeno” che cita testualmente:
E’ Proibito l’uso di procedure, metodi e composti che consentono di modificare allostericamernte l’emoglobina al fine di aumentare il rilascio dello stesso a livello periferico, ivi compresi l’Eproxiral (RS13) e correlati, nonché la somministrazione di 2,3-difosfoglicerato e di metilacetrilfosfato”.
Il DM quindi considera in modo inequivocabile come “DOPING” sia la somministrazione di 2,3-DPG sia l’uso di pratiche artificiali che ne incrementino la produzione endogena e quindi la concentrazione eritrocitaria e comunque tutte le procedure o pratiche che aumentino il rilascio di ossigeno ai tessuti.
Tanto ciò premesso, una risposta affermativa di “Doping” è strettamente correlata alla dimostrazione che il trattamento Ozonoterapico provochi un aumento della disponibilità in circolo di 2,3-DPG ovvero una diminuzione dell’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno.
Varie sono le tecniche praticate nell’Ozonoterapia e a nostro avviso quelle per inalazione, per iniezione locale ed insufflazione rettale non sono in grado di giustificare un aumento significativo di 2,3-DPG tale da considerarle come “Doping”, anche perché il fenomeno reattivo è circoscritto e di proporzioni assai limitate. Diverso è il discorso invece se la pratica viene effettuata su base sistemica, con reinfusione di sangue trattato con una miscela adeguata di Ossigeno/Ozono.
Non tutti i pareri sull’aumento del 2,3-DPG dopo l’ozono terapia sono concordanti e ciò riteniamo sia dovuto sia alle tecniche di rilevazione che alle modalità di esecuzione dell’esperimento.
Viene riportato da Velio Bocci nel suo libro “Oxigene-ozone therapy” una analisi obbiettiva, se pur non esaustiva, del problema.
Storicamente un aumento significativo del 2,3-DPG venne messo in evidenza da Rokitanski et all (1981,82) e da Mattassi nel 1987 ma gli aumenti trovati da quest’ultimo non vengono definiti statisticamente significativi ad un dato livello di probabilità, comunque questi aumenti si riscontrano per trattamenti prolungati di varie settimane e con la tecnica della reinfusione. Un dato comunque è certo : l’aumento si riscontra quasi esclusivamente in soggetti che hanno un livello basale di 2,3-DPG molto basso.
Coppola et all nel 1995 non trovano cambiamenti nel sangue ozonizzato di pazienti diabetici, ma tale dato non è significativo in quanto rilevato dopo poco tempo dalla pratica ed è noto che il 2,3-DPG non varia la sua concentrazione in vitro dopo poco tempo.
Viehban (C)invece in pazientri trattati con 13-15 sessioni di ozonoterapia per insufflazione rettale trova aumenti sorprendenti rispetto alle variazioni ( statisticamente non significative) rilevate da V.Bocci, lo stesso Bocci ipotizza che tale differenza potrebbe essere imputabile alla diversità di tempo di trattamento.
Coppola et all (D) (E) in pazienti affetti da arteriopatia periferica occlusiva e pazienti diabetici non rilevano un aumento, dopo trenta mintuti dal trattamento, del 2,3-DPG ma un aumento della p50 e tale nuovo fatto dimostra che l’ozonoterapia comunque deve essere considerata come un fattore favorente il rilascio di Ossigeno da parte dell’Emoglobina o quanto meno un’amplificatore artificiale dell’effetto Bohr e quindi inquadrabile nell’elenco delle tecniche vietate.
Il meccanismo biochimico che giustifica l’incremento di 2,3 DPG intraeritrocitario consiste nell’ossidazione del NADH a NAD, da parte degli intermedi di reazione derivanti dall’ ozonoterapia,. Questa reazione accelera il metabolismo cellulare del glucosio con maggior produzione degli acidi difosfoglicerici (1,3 DPG e 2,3-DPG) e su questa considerazione non sono state trovate in letteratura opinioni discordanti.
Viene inoltre riportato da altri autori che, oltre la deformazione degli eritrociti aumento della membrana esterna, un’altra azione dell’ozono detta “meccanismo eritrocitario indiretto” che provoca un loro aumento per stimolo dell’eritropoiesi. In mancanza di dati probanti, tale ipotesi non viene presa in considerazione.
In definitiva, non risulta in base ai dati in nostro possesso, nessun lavoro in letteratura che metta in discussione o che sia in netta contrapposizione con i risultati ottenuti da Rokitansky relativamente all’aumento del 2,3 DPG: Alcuni lavori non riscontrano l’aumento di questa sostanza ma trattasi di lavori condotti con metodologie e tempi di trattamento diversi quindi non comparabili. Comunque in questi lavori è costantemente riportato un aumento della p50, ovvero una diminuita affinità dell’Emoglobina per l’Ossigeno, con spostamento a destra della curva di dissociazione. Tale caratteristica implica comunque una maggiore disponibilità di Ossigeno a livello tessutale il che consolida la nostra convinzione che l’ozonoterapia effettuata con il metodo della” autoemotrasfusione maggiore” debba essere considerata come pratica di Doping, ovviamente qualora non sussistano indicazioni probanti per un suo impiego terapeutico.
Dario D’Ottavio, Benedetto Ronci
Legenda
Mole =
Quantità in grammi di una sostanza pari al suo peso Molecolare ovvero quantità
di sostanza composta da 6.02 + 10 23 atomi o molecole.
PM = Peso Molecolare
h = Costante di Plank
= Frequenza della radiazione
ΔH = Entalpia di Formazione
kcal/mole = unità di misura dell’energia termica che si sviluppa durante una
reazione
Potenziale Redox = Caratteristica intrinseca di una sostanza che esprime la
capacità di ossidare ( acquistare elettroni) o ridurre (cedere elettroni)
Legge di Henry : Un gas si scioglie in un liquido in quantità proporzionale alla
sua pressione parziale
Ossidante = Sostanza che acquista elettroni
Riducente = sostanza che cede elettroni
DNA
RNA
BIBLIOGRAFIA
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Basic principles and practice
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