L'IMMUNOELETTROFOCOUSING IN DOPPIO BLOTTING Torna alla Home Page

UN TEST CHE NON SBAGLIA

Le vicende doping legate alla diffusione nello sport del C.e.r.a., l'epo di terza generazione, hanno messo in rilievo voci e polemiche sul test recentemente adottato dal laboratorio di Chatenay Malabry; uno dei più avanzati nel mondo nella lotta all'epo, le cui tecniche e procedure sono universalmente riconosciute. Dal professor Dario D'Ottavio, eminente biochimico clinico, nonché collaboratore di numerose Procure d'Italia nelle indagini doping, riceviamo questo prezioso contributo teso a chiarire in concreto come funziona questo metodo che qualcuno vuole contestare. Si tratta di un articolo molto tecnico, ma anche molto chiaro da cui emergono sostanzialmente tre fatti concreti:

1) il risultato del test, per i riscontri scientifici che offre, è altamente specifico.  Cioè non ci sono dubbi sul tipo di molecola individuata.
2) gli errori possibili sono tutti a vantaggio dell'atleta, nel senso che, data la complessità delle procedure e i tanti passaggi, è statisticamente più facile che diminuisca la concentrazione della molecola "incriminata" contribuendo a far dichiarare un negativo (falso negativo), piuttosto che un falso positivo. 
3) il cosiddetto procedimento di "double blotting", rappresenta una doppio passaggio per eliminare le eventuali interferenze e dare più garanzie di specificità alla risposta analitica.


Accanto, il risultato di un test basato sull'immunoelettrofocousing. Le isoforme dell'epo sono separate in base al loro differente "punto isoelettrico" .
Nella colonna di sinistra la traccia in bande dell'epo endogena, quella prodotta dal fisico umano. Come è facile constatare anche ad occhio è ben differente da quella dell'epo ricombinante (in questa analisi una mistura di epoetina alfa e beta, ma il risultato è analogo anche con l'Arnesp), che presenta una carica meno negativa. Le bande di quest'ultima si raggruppano vicino al catodo.

 

di Dario D'Ottavio

PROTEINE, ISOFORME E PUNTO ISOELETTRICO

Le proteine sono la componente principale sia qualitativa che quantitativa del sangue. Esse sono costituite da una sequenza di amminoacidi legati l’un altro. Altresì questa sequenza può essere coniugata con ulteriori gruppi o metalli. Inoltre è da rilevare che la stessa proteina, a livello plasmatico, può essere presente in differenti “isoforme” che sono caratterizzate dalle stesse proprietà biochimiche, ma con leggere differenze chimico fisiche dovute, per lo più, a modificazioni post traduzionali. Le proteine del sangue differiscono per dimensioni, forma e carica elettrica; sono anfotere (come i peptidi o gli aminoacidi) e possono avere a seconda del pH del mezzo che fa da supporto, o carica negativa o carica positiva o carica nulla. Per ciascuna proteina, esiste quindi un valore di pH riferendosi al quale la risultante delle cariche positive e negative è nulla, ovvero la proteina è elettroforeticamente immobile, ciò che viene definito comunemente “punto isoelettrico”.
 

LE PROTEINE PLASMATICHE (SANGUE)

Tiselius, nel lontano 1937, per primo, mise a punto un metodo di migrazione e separazione delle proteine in un campo elettrico, utilizzando un supporto liquido; successivamente carta, acetato di cellulosa, gel d’agar, agarosio vennero utilizzati come mezzi stabilizzanti per “intrappolare” le proteine sostituendo così il supporto liquido. Le proteine plasmatiche, sottoposte ad elettroforesi, danno origine ad una serie di 6 bande (fibrinogeno compreso) denominate Albumine, α1, α2, β1,β2 e gamma globulina. Se pur di notevole interesse diagnostico (oggi con l’elettroforesi capillare si riescono ad ottenere decine di bande) il limite di questa tecnica è quello di raggruppare in ciascuna banda molteplici tipi di proteine caratterizzanti patologie diverse.

IDENTIFICAZIONE DELLE PROTEINE

La caratterizzazione, cioè l'identificazione della singola proteina avviene allorché si accoppia all’elettroforesi classica la reazione antigene – anticorpo che si identifica nell’immunoelettroforesi. Esemplificando, si fanno migrare le proteine in un campo elettrico e successivamente si mettono a contatto per diffusione con un anticorpo specifico per la proteina di interesse; qualora la proteina fosse presente, nella zona corrispondente alla posizione di migrazione si noterà un precipitato dovuto alla reazione antigene anticorpo. Il limite di questa tecnica consiste nel fatto che affinché avvenga la reazione antigene anticorpo con precipitazione del complesso formatosi debbono essere rispettati precisi rapporti di concentrazione tra le due sostanze e quindi, per rilevare proteine a basse concentrazioni, questa tecnica diventa improponibile. Ulteriori passi avanti sono stati fatti con l’ausilio di anticorpi “marcati” con un atomo radioattivo o un gruppo fluorescente o chemiluminescente oppure coniugati con enzimi particolari capaci di dare origine a reazioni colorimetriche; tutti sistemi che ampliano l’intervallo di concentrazione in cui le singole proteine possano essere differenziate.

I MIGLIORAMENTI: TAMPONI ALCALINI E IMMUNOELETTROFOCOUSING

Miglioramenti della selettività delle bande sono stati ottenuti passando dall’uso di tamponi alcalini a pH fisso (in genere compreso tra 8-9) all’uso di anfoliti che consentissero di ottenere un gradiente di pH. In questo caso, oltre alla separazione dovuta al differente peso molecolare delle varie proteine, queste si posizioneranno nelle zone ove il pH è uguale al punto isoelettrico e quindi la velocità di migrazione è praticamente nulla: parliamo in questo caso di elettrofocusing o immunoelettrofocusing se si utilizzano anticorpi specifici. Le tecniche si sono via via sempre più affinate cercando di ridurre od eliminare le reazioni aspecifice tra anticorpo e proteina (cross – reaction) responsabili di false positività in quanto, data la molteplicità di proteine presenti nel plasma, una reazione aspecifica (specie con proteine presenti in elevata concentrazione) è pur sempre possibile.

TOBWIN E IL "BLOTTING"

Introdotta nel 1979 da Towbin, cominciò a diventare routine nei laboratori di ricerca la tecnica di “blotting” tutt’oggi comunemente utilizzata per determinare piccole quantità di proteine presenti in matrici complesse quali il plasma ed il siero umani. La semplice procedura di “blotting” (conosciuta come “blot” o “slot blot”) si basava su una filtrazione sotto vuoto per trasferire le proteine su una membrana a micropori. Mentre questo metodo fornisce informazioni qualitative sull’espressione dei livelli totali delle proteine e può essere utilizzato per campioni multipli in parallelo, difetta dell’informazione sul loro peso molecolare. Inoltre, la specificità può essere compromessa dalla degradazione delle proteine qualora fosse necessaria la loro integrità. Una applicazione moderna di quanto precedentemente detto è la “Western blotting” che implica la separazione elettroforetica delle proteine, con successivo elettrotrasferimento delle stesse su una idonea membrana. In particolare, le proteine vengono separate attraverso una elettroforesi su gel. Questa separazione può essere ottenuta o tramite il loro punto isoelettrico o il peso molecolare o la carica elettrica, in genere si usa una combinazione di questi tre fattori. Il più comune tipo di gel elettroforesi utilizza un gel di poliacrilamide e un tampone ricco di dodecilsolfato sodico (SDS) che mantiene i polipeptidi in uno stato denaturato una volta che sono stati trattati con forti agenti riducenti per rimuovere la struttura secondaria e terziaria (ad es. i gruppi disolfuro (-S-S-) in modo di separare le proteine secondo il loro peso molecolare. In questa situazione le proteine si caricano negativamente e migrano verso il polo posititivo attraverso il reticolo dell’acrilamide allo stato di gel. Le proteine più piccole migreranno più rapidamente attraverso i pori del gel e così si separeranno a seconda del loro peso molecolare. La concentrazione di acrilamide determina la risoluzione del gel – maggiore è la sua concentrazione e maggiore sarà la risoluzione per proteine a basso peso molecolare. Quindi dopo aver depositato le proteine sul gel ed applicato il voltaggio, le proteine si muoveranno nel gel con differenti velocità; questo diverso stato di avanzamento (differente mobilità elettroforetica) è quello che determina la separazione in bande all’interno di ogni zona di deposito.

REAZIONE CON ANTICORPO SPECIFICO ED "ELETTROBLOTTING"

Affinché le proteine così separate possano reagire con l’anticorpo, debbono essere rimosse dal gel e trasferite su una membrana di nitrocellulosa o di difuoropolivinilidene. La membrana viene posta al di sopra del gel e il tutto coperto da carta da filtro. L’insieme viene poi posto in una soluzione tampone che sposta verso l’alto la carta per azione capillare portando con se le proteine trasferendole sulla membrana. Altro metodo per trasferire le proteine è l’elettroblotting che utilizza la corrente elettrica per trasferire le proteine su una membrana in PVDF o nitrocellulosa. Le proteine passano dal gel alla membrana mantenendo le stesse posizioni assunte sul gel. Come risultato di questo processo di “blotting” le proteine sono ora depositate su una superficie sottile ottimale per la loro determinazione. Dato però che la membrana è stata scelta per la sua capacità di legare le proteine ed entrambi gli anticorpi, successivamente utilizzati, sono proteine, bisogna prevedere un ulteriore fase per prevenire che quest’ultimi vadano ad occupare gli spazi liberi della membrana. Ovvero il “bloking” della membrana per evitare legami aspecifici, che si effettua ponendo questa in una soluzione diluita a contenuto proteico (generalmente albumina sierica bovina o caseina) in modo tale che questi composti vanno ad eliminare la possibilità che gli anticorpi utilizzati possano specificamente legarsi alla membrana. Questo processo, in definitiva, serve ad eliminare i falsi positivi.

ANTICORPI PRIMARI E SECONDARI

 L’evidenziazione della proteine di interesse viene effettuata utilizzando un primo anticorpo “primario” e un secondo anticorpo “secondario”. Il primo anticorpo è specifico per la proteina da determinare e dopo il “bloccaggio” della membrana viene messo a contatto con quest’ultima per i periodo di tempo necessario all’espletamento della reazione di legame. Dopo un opportuno lavaggio per eliminare l’eccesso di anticorpo “primario” (ovviamente non legato alla proteina ricercata e comunque ancora in grado di reagire) , la membrana viene trattata con un anticorpo “secondario” specie-specifico di una porzione dell’anticorpo “primario” precedentemente utilizzato. L’anticorpo secondario è generalmente legato a biotina od a un enzima, in genere fosfatasi alcalina e perossidasi. La biotina o l’enzima , attraverso una serie di reazioni formano un composto che rende “visibili” le bande delle proteine che hanno reagito con l’anticorpo primario. La posizione della bande e la loro intensità sono caratteristiche peculiari di ogni specie proteica. La tecnica descritta consta quindi di due fasi: legame della proteina con l’anticorpo specifico e successivo legame del complesso antigene –anticorpo con un anticorpo marcato; tele processo è definito two-step process. E’ comunque possibile, qualora si utilizzi un anticorpo specifico già “marcato”, poter effettuare la determinazione in un unico step. Tale processo è più rapido ma non è scevro da possibili interferenze per cui viene utilizzato soltanto per lo “screening” dei campioni positivi.

IL DOUBLE BLOTTING

Lasne nel 2001 ha sviluppato un metodo “Double blotting” per superare il problema di legami non specifici da parte dell’anticorpo secondario nell’immunoblotting. In pratica, dopo che è stato applicato l’anticorpo primario, la membrana con le proteine “blottate” viene assemblata con una seconda membrana “pulita” e sottoposta ad un secondo “blotting” sotto condizioni acide. Le molecole dell’anticorpo primario sono così desorbite dal loro corrispondente antigene e trasferite sulla seconda membrana, mentre l’antigene e le proteine interferenti restano legate alla prima. La seconda membrana può quindi essere trattata con l’anticorpo secondario senza il rischio di legami aspecifici. Questo tipo di metodica è stato sviluppato per lo studio dell’eritropoietina in urine concentrate poiché sono stati evidenziati forti legami non specifici con gli anticorpi biotinilati in alcuni campioni sottoposti ad analisi. Da quanto sopra si può dedurre che l’applicazione dell’immunoettrofocusing “double blotting” è altamente specifica per la ricerca della proteina di interesse, presenta comunque il difetto che in presenza di piccole quantità, dato che in ogni passaggio si ha inevitabilmente perdita di materiale, che proteine a bassa concentrazione possano ancor più diluirsi e quindi non reagire con l’anticorpo secondario dando origine a “falsi negativi”.

 

Il test della Maiia disgnostic consente di distinguere l'epo ricombinante (esogena) da quella endogena, prodotta dal fisico umano attraverso l'identificazione della carica diversa. Le isoforme dell'epo ricombinante (puntini gialli) sono meno negative di quelle endogene (verdi).

Un test ulteriore (Epo Wga) distingue l'epo ricombinante (esogena) da quella endogena attraverso la loro differente interazione con la lattina. Il legame della forma endogena di epo (puntini verdi) è più debole di quello della forma esogena (puntini gialli). 

 

 

 

Questo test (EPO MAIIA) consente di distinguere le isoforme dell'epo endogena da quelle esogene (assunzione esterna) come l'epoetina alpha, beta, omega, delta, e forme analoghe come la darboepoetina alfa e il CERA. Anche se l'epo appare in basse concentrazioni nell'urina. 

Il metodo attuale, accreditato dalla Wada, cioè riconosciuto come valido per rintracciare l'epo esogena dall'agenzia mondiale antidoping, combina l'isoelectric focousing (IEF) con il "double immunoblotting". E' stato descritto  da F. Lasne e J. de Ceaurriz  su "Nature", la più prestigiosa delle riviste scientifiche, nel 2000 (Nature 405, 635).

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